La sera di 40 anni fa. Era un mercoledì e la gente della Valle del Vajont era a casa o nei bar davanti al televisore. Trasmettevano la partita di Coppa Campioni tra Ranger di Glasgow e Real Madrid. Senza storia, i merengues vincevano 6 a 0, roba di lusso con Di Stefano e Puskas. Si udì un boato, si spensero le luci e il niente fu tutto quello che restò. Ricordò don Carlo parroco di Casso: "Si udì il frastuono come di mille treni che passano accanto, poi ho visto un'enorme colonna nera... Il nulla ci stava mangiando tutti".
Dal monte Toc si staccarono 250 milioni di roccia e terra, precipitarono nell'invaso della diga del Vajont a quota 730, l'onda rimbalzò contro la faccia interna della diga più alta d'Europa e, superandola, si abbattè nella valle sottostante cancellando tutto. Spazzò via interi paesi, fece duemila morti, li coprì con una crosta d'acqua e fango che diventò subito dura. Per scavare i soccorritori dovettero usare i picconi, poi quando il sole scaldò la valle non bastarono più nemmeno i picconi per aprire la terra. Quando arrivò il presidente del Consiglio Giovanni Leone molte bare erano già state allineate all'aperto. Leone era uno che non amava i funerali, si commuoveva ma cercava di stare lontano dai luoghi della morte.
Eppure non ci fu tragedia più annunciata di quella del Vajont . La montagna scivolava e si sapeva, perdeva pezzi ogni giorno. La notte del 9 ottobre 1963 la strada attorno alla diga era stata chiusa per ordine dei tecnici perché pericolosa. Si diceva da anni che la diga era maledetta, la giornalista bellunese Tina Merlin ebbe il coraggio di scriverlo, fu processata per diffamazione e assolta. Quando tornò a Longarone il giorno dopo la tragedia scrisse un memorabile pezzo che iniziava così: "Scrivo dal paese che non c'è più".
da http://www.gazzettino.it
non dimentichiamolo.