Visto che l'articolo sui Mods l'ho scritto io (ovviamente gratis!), ve lo incollo. Me lo hanno ridotto parecchio, ma non è di sole tre righe ciao
MY GENERATION
«Vivere al meglio e con stile nelle circostanze difficili». Questa la definizione dell’essere mod così come riportata sulla copertina di Quadrophenia, l’opera rock degli Who che racconta le vicende di un giovane mod diventata poi l’eccellente film diretto da Franc Roddam nel 1979. Fornire una definizione di Modernismo è però arduo e limitativo. L’essere mod esula dalle dinamiche sociologiche, dalle limitazioni politiche, dall’estemporaneità della moda.
Il Modernismo si affermò verso l’inizio degli anni Sessanta, in un’Inghilterra allora ombelico di un mondo in evoluzione e contraddistinto dal progresso sociale. Motivazioni, necessità e approccio di chi allora si scoprì mod sono identiche a quelle attuali, perché l’essere mod è una forma di quotidianità libera dai condizionamenti temporali. Per i giovani mod la coscienza di classe diventò «coscienza di individuo», proletario sì ma anche unico padrone del proprio io e non semplice ingranaggio del meccanismo «produci-compra-consuma e poi muori». Essere mod significa essere qualcuno per quello che si è e non per quello che si ha. Niente di filosoficamente sofisticato: semplicemente lavorare per vivere e non vivere per lavorare, a fianco di persone di ogni colore, acquisendo gli uni dagli altri preziosi insegnamenti e tratti estetici e culturali.
Dall’Italia arrivarono proposte fuori dalle mode ma incredibilmente stilose e originali: vestiti di taglio preciso, attillato, con revers alti e contenuti, mocassini lisci e lucidi, cravatte strette e capelli corti, curati, magari simili al taglio di Marcello Mastroianni. E l’Inghilterra non era da meno: scarpe «desert-boots» della Clark, «zoot-suit» a strisce verticali come quelle lanciate dagli Who, polo e maglioni di Fred Perry, tennista che aveva deciso di creare una sua linea d’abbigliamento senza pretese d’alta moda, t-shirt e felpe Lonsdale, create da un mecenate che dava modo ai ragazzi giamaicani di praticare gratuitamente il pugilato nelle sue palestre, allontanandoli dalle tentazioni della malavita. E poi l’America, con i jeans Levi’s e il parka, l’indumento simbolo dei mods, adottato perché reperibile con facilità nei mercati dell’usato e adatto a proteggere i vestiti indossati sotto durante i viaggi in scooter o le risse. Anche le donne avevano un’immagine molto caratterizzata: capelli corti, tagli androgini o caschetto alla Cleopatra, giacchette maschili e sky-pants oppure gonne lunghe fino al ginocchio o appena sotto.
Qual era il mezzo di trasporto più economico, resistente, funzionale, stiloso e personalizzabile? Lo scooter, naturalmente. Fu ancora l’Italia a rispondere alle necessità dei mods, con le fantastiche e inimitabili Lambretta e Vespa. Spendendo poco e lavorandoci di persona, ognuno poteva, allora come oggi, personalizzare il suo mezzo con accessori cromati, specchietti, fanali e particolari ricercati. Il pensiero, l’azione, l’attitudine e l’estetica mod sono sinonimo di ricerca quasi maniacale della precisione perché non esistono trattati, scritti o regolamenti a cui far riferimento.
Mod non si nasce né si diventa: si scopre di esserlo. I primi furono i mod inglesi di quarant’anni fa e oggi come allora in ogni parte del mondo c’è chi si scopre mod e combatte il sistema da dentro, senza autoescludersi e farsi emarginare. Il Modernismo è una sorta di cavallo di Troia inserito nel sistema, che viene sfruttato per non esserne sfruttati. Impossibile inquadrare, catalogare o ignorare i mods. Nello stile risiede la forza di un movimento che si genera e si riproduce continuamente e ovunque, proprio come i fiori nel cemento. È bello essere mod.
Oskar Giammarinaro - Mod Piazza Statuto - DTK sez.Torino
http://www.statuto.nu