Parma, quattordici agosto millenovecentonovantasei. L'era dei Tanzi, dei Baggio (Dino e non Roberto) e dei Cannavaro, dei Chiesa e degli Ancelotti. E' la vigilia di Ferragosto, fa caldo, in città non c'è nessuno. Irrompe, come in un saloon ottocentesco, un cowboy di nome Hernan Jorge Crespo, capocannoniere - in coabitazione con un certo Bebeto - delle Olimpiadi di Atlanta e vincitore della medaglia d'argento. Non solo, dieci gol nell'ultima Libertadores, la palma di campione del Sudamerica coronata da una doppietta nella finale decisiva contro l'America di Calì.
Il pedigree del bomber di razza non basta, Parma è deserta e non fa una buona impressione al Valdanito. La prima cosa che impara è che a Ferragosto, in Italia, non c'è nessuno.
La settimana dopo è già conferenza stampa, con Ze Maria: "Mi considero una prima punta. Ma aspiro a diventare un giocatore completo, quindi anche di movimento". I paragoni con Balbo e Batistuta si sprecano, il giovane Hernan sottolinea che ha solo ventun'anni e si vedrà . L'investimento è di sei miliardi e mezzo di euro.
Crespo vede il campo per la prima volta il venti di ottobre, in uno sfortunato Parma-Perugia. E Ancelotti, dicevamo. Allenatore di una squadra ai limiti dello stellare, la settimana dopo lo schiera titolare. Inter, San Siro, Scala del Calcio. "Solo i grandi giocatori fanno grandi cose in questo stadio", le parole del tecnico di Reggiolo. E dopo due minuti è già gol, il primo in Italia. Zamorano e Zanetti concludono il tabellino di una sfida in salsa sudamericana, e per Crespo è già inverno.
Sei mesi senza segnare, gli infortuni, le critiche. Si parla già di trasferimento a gennaio, ma le voci rimangono solo tali. Per la fortuna sia del calcio italiano che del Parma. Crespo si riprende a marzo, coi primi sentori di una Primavera ancora distante qualche settimana. Una rete di rapina, l'altra con una girata strepitosa che va a morire al sette. Una perla magnifica, che insieme ad altre undici portano il Parma alla competizione più ambita, la Champions League.
Di petto, di potenza, in rovesciata, ma soprattutto di tacco: la scalata della società ducale passa dalle gemme che Crespo riesce a inanellare, una dietro l'altra. Sessantadue gol in quattro stagioni, con una cartolina da Mosca: finale della Coppa UEFA contro l'Olympique Marsiglia, Blanc sbaglia l'appoggio di testa a Porato, con Valdanito che anticipa il portiere e lo uccella con un delizioso pallonetto. E' l'uno a zero che scardina la porta dei marsigliesi (di Vanoli e Chiesa le altre reti), riportando dopo quattro anni il trofeo al Parma. Non solo tacchetti, anche guantoni: nel dicembre novantotto prende il posto di Matteo Guardalben per difendere i pali dei parmensi, in Coppa Italia, con il connazionale Mauro Navas che lo beffa all'ultimo minuto.
Il duemila è l'anno delle lacrime. "Vorrei essere come Batistuta". Non lo diventa appieno perché il Parma lo cede per la cifra record di centodieci miliardi, con Almeyda e Sergio Conceicao che dalla scudettata Lazio compiono il percorso inverso come parziale contropartita, mentre trentacinque miliardi vengono versati nelle casse gialloblù. L'erede designato è Salas, ma il cileno rifiuta il trasferimento e a Collecchio viene presentato Milosevic.
Poi, una vita intera: la Supercoppa con la Lazio e il titolo da capocannoniere della Serie A, il trasferimento all'Inter e poi al Chelsea, l'inserimento nella lista dei centoventicinque migliori giocatori viventi da parte di Pelè, la Premier in doppia cifra nonostante vari infortuni, la doppietta nella finale di Istanbul col Milan, tre scudetti con l'Inter, sei mesi al Genoa. I giochi con Maradona, Veron e Messi. La nazionale salutata con un rigore segnato alla Colombia (con Hernan che poi s'infortuna, esce dal campo e non indossa più la maglia albiceleste). Il ricordo peggiore collima probabilmente con quello migliore: il Parma che retrocede in B proprio davanti a Crespo, consegnandogli il suo primo scudetto. Lui si rintana dal magazziniere emiliano e piange.
E poi, dieci anni dopo l'ultima volta, il ritorno al Parma. Una squadra decisamente diversa da quella lasciata nell'estate del duemila, nonostante Guidolin stia conquistando una salvezza decisamente più tranquilla. Il primo gol della sua avventura all'ultima giornata del 2010, il titolo - effimero - di miglior marcatore della stagione successiva. Fino all'addio, certificato con una conferenza stampa. "Non è ancora deciso cosa farò", mentre all'altro capo del mondo se lo contendono come in un fantacalcio. "Ho solo smesso col calcio giocato, quello ad alti livelli". Tornerà da dirigente nella sua Parma, oramai diventata l'ombelico del mondo di Crespo. Il ragazzino che a Ferragosto di sedici anni fa proprio non capiva dove fossero tutti.
Il primo tifoso del River, Carlos Menem - presidente dell'Argentina dall'89 al 99 - tuonava contro la cessione di Crespo in Europa, nel novantasei: "Il paese fa un cattivo affare con questo trasferimento, perché vale otto e non quattro milioni di pesos". Si sbagliava, come spesso gli è successo quando parlava di numeri. Ne valeva molti di più.