SAN PAOLO (Brasile), 23 ottobre 2006 - Da oggi Michael Schumacher, con il suo carico immenso di gloria, è un ex. Restano i filmati delle sue imprese e le cifre impressionanti di una carriera unica. E di una dittatura. Cominciata veramente dopo la tragedia di Imola del ’94 che tolse di scena Senna. In quel momento, Schumi si ritrovò solo, senza campioni dello stesso livello. Salvo Mika Hakkinen, assurto ai vertici più tardi, con fatica. Una meteora.
CAMPIONI - Sono passati anni prima che si affacciasse, a contrastarlo, una nuova generazione di grandi piloti. Quella di cui Fernando Alonso e Kimi Raikkonen sono gli esempi più evidenti. Questo non significa che Michael non avrebbe vinto ugualmente se avesse incontrato piloti più forti. Il discorso è reversibile: anche altri campioni non avrebbero probabilmente vinto altrettanto, se la carriera si fosse incrociata con quella di Schumi.
Ma allora possiamo davvero considerare Schumi il più grande di tutti? Davanti a un quesito così, si rischia di sconfinare in una discussione infinita, perché i paragoni tra le epoche non sono possibili in nessun campo. Troppe le variabili, troppi i cambiamenti della società con ricadute sullo sport. Per cui certe classifiche diventano soggettive. Ma il gioco è appassionante e lo abbiamo affrontato, divertendoci, con il supporto di alcuni grandi nomi della F.1.
FANGIO - Partiamo da quello che è risultato essere il vero re dei GP: Juan Manuel Fangio. Sul quale Schumacher una volta disse: "Ha corso in un’epoca tremenda, con macchine pazzesche da guidare". Vero. Negli 8 anni in cui Fangio ha guidato in Europa, sono morti quasi 20 piloti. Perché il concetto di sicurezza non esisteva. I guard-rail non erano ancora stati inventati, le protezioni delle piste erano costituite da balle di paglia oppure non esistevano. Sulle autononc’erano roll bar né cinture di sicurezza, i piloti indossavano la Lacoste per correre invece delle tute ignifughe, i caschi erano di sughero. Si gareggiava su tracciati con strapiombi, pali della luce, rocce.
Le auto erano potentissime, le gomme, strette, si sbriciolavano. In queste condizioni Fangio ha conquistato 5 titoli iridati in 7 anni, guidando per Alfa Romeo, Ferrari-Lancia, Mercedes, Maserati senza mai incappare in un incidente serio. Rigoroso con se stesso e con le sue auto, perfezionista all’inverosimile, Fangio non ha mai commesso una scorrettezza. A 46 anni, al Nürburgring, con la Maserati, ha ottenuto una vittoria da fantascienza sul circuito più difficile, senza avere l’ausilio dei controlli di trazione che oggi, oltre ad appiattire i valori, facilitano la guida e salvano la vita. Non bastasse, Fangio ha corso nelle grandi maratone, con le sport e le turismo. Inarrivabile.
SCHUMACHER E SENNA -Li piazziamo alla pari dietro al grande argentino. Pensate: Fangio ha cominciato in F.1 a 39 anni, quando Michael si ritira a 37. Se Juan Manuel ha dovuto ottenere ogni vittoria a suon di sorpassi, con rischi di conseguenza, Schumi ha saputo interpretare alla perfezione la F.1 dei pit stop e dei sorpassi ai box. Ma quando si è trattato di farli in pista, non si è tirato indietro. Velocissimo, preparatissimo fisicamente, abile nel destreggiarsi tra potenza e aderenza, un buon fiuto tecnico nella messa a punto e il talento a decidere quando non ha avuto macchine al massimo. Senna, 9 anni più di Schumi, ha però incrociato avversari più ostici, come Lauda, Prost, Mansell, Piquet. Straordinario nel giro secco, strepitoso con la pioggia, bravo nel gestire le gare, ottimo come direttore d’orchestra e sul piano carismatico.
PROST -Dopo i tre mostri sacri ecco Alain Prost, con 4 titoli mondiali, 51 vittorie: notevole stratega, uomo-squadra, abile nelle tattiche. Uno che sapeva stravolgere i pronostici, grande forza mentale al pari di quella di Lauda (8°), che si è sempre vantato di aver conquistato tre titoli senza necessariamente essere stato più rapido dei suoi avversari. Stewart (5°) è stato la classe, l’intelligenza, Clark (6°) il genio della guida allo stato puro, Moss (9°) la velocità assoluta su pista e su strada, Andretti (10°) la forza della volontà e il successo di qua e di là dell’Atlantico, sempre contro grandi campioni. Infine Ascari (7°): due volte Mondiale con tante altre vittorie da ottenere, se non ci fosse stata la tragedia. Restano fuori, dai top ten, nomi di peso: Gilles Villeneuve, Nelson Piquet, Nigel Mansell, John Surtees. E altri ancora. Ma, come dicevamo, qui finisce la classifica e comincia la discussione...
da gazzetta.it