Lunedì 4 Aprile 2005 @ 9:59 am
THE BEATLES - The Beatles - (1968)
Categoria: C1
Immenso (per quantità ) minestrone eterogeneo, il white album omonimo dei The Beatles è la dimostrazione della deriva assoluta che può essere raggiunta in mancanza di struttura. Un doppio dalle facce talmente compromesse da poter essere comodamente considerato una raccolta confusa di pensieri. Pensieri più o meno caotici ai quali manca una linea comune, un senimento d’insieme, una coesone formale ed informale. Un bozzetto delle stagioni e dei momenti di vita slegati fra loro dal punto di vista cronologico e mai completamente ricompattati.
Coesistono, così, le banali manifestazioni post-rockabilly di “Back in the U.S.S.R.†con le potenti scariche di “While My Guitar Gently Weeps†arricchite dal tecnicismo di Eric Clapton, gli infantilismi da Zecchino d’Oro di “Ob-La-Di, Ob-La-Da†con le catastrofi rigogliose di “Happiness Is a Warm Gun“, le goliardiche prese in giro di “Continuing Story of Bungalow Bill†con le delicate carezze di “Dear Prudence“, il prezioso sussurro di “Blackbird†con le prove di forza reiterate ed ingiustificabili di “Why Don’t We Do It in the Road?“, le solite canzoncine adolescenziali come “I Will†con i tentativi infruttuosi di potenziamento di “Yer Blues“, i pazzoidi scorribanda di “Helter Skelter†con i suoni girovaghi di “Long, Long, Long†e, in tutto questo, gli sfavillanti ed incoerenti balli di “Revolution 9†isolati e totalmente decontestualizzati.
In genere tutto il lavoro sembra schiacciato da una quantità tale di forze contrastanti da riuscire a venire a capo di ben poco: c’è la voglia di sperimentare, ma spesso tale proponimento è fine a se stesso o si rivolge a forme che hanno già dato molto e che non necessitano di copie pedisseque; c’è la volontà di fare una sorta di punto e virgola della situazione, ma non che i The Beatles siano mai riusciti a produrre qualcosa di davvero personale che fosse oggettivamente riconosciuto come proprio; c’è determinazione nel volersi riallacciare a formalismi circostanti, ma per riuscire a far ciò c’è bisogno di arte creativa (quella che si manifesta in modo compiuto solo nella Harrison-iana “While My Guitar Gently Weeps“), pratica non troppo comune al quadretto di Liverpool; c’è, infine, una voglia di individualismo che poco si confà alle attitudini di un gruppo e che trasforma un’opera concettuale in un minestrone indigesto.
Alla fine ciò che può venir fuori da questa raccolta è la sensazione di vuoto quasi totale, riempito con maggior numero di manifestazioni fenomenologiche non necessariamente valide: è un peccato, perchè riuscire ad incorniciare meglio “Revolution 9†o “While My Guitar Gently Weeps†o finanche gli spunti illumminanti di “Helter Skelter†sarebbe stato un motivo in più per rivalutare tutta l’opera di questi modesti mestieranti quando, con un misto di delusione ma contemporaneamente di cognizione di causa, siamo costretti ad ammettere che un milione di scimmie che lavorano ventiquattr’ore su ventiquattro ad un milione di macchine da scrivere arrivano, se non a scrivere Shakespeare, per lo meno a formulare qualche frase di senso compiuto.
Caos!
Valore del disco:
5,50 €
di Salvatore Zara Torsi
E' ufficialmente pazzo.. nn ho parole!! Cm si fa a definire The White Album cn la parola caos?! Mah!!!!!