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Domenica 15 gennaio 1989. Un deja-vu: il numero nove sulle spalle ed una corsa sfrenata verso la curva Sud,.muta ed inebetita. Lui, strafottente e spavaldo, con l'indice leÂvato al cielo. Derisione ed incoscienza: è Paolo Di Canio. Il flash-back è sin troppo facile, quasi naturale, spontaneo. Un'irnmagine vista e rivista scorrendo a ritroso le seÂquenze di un vecchio film scolorito dal tempo. Soltanto un altro, prima di lui, aveva osato sfidare il tempio del tifogiallorosso. Li, nella cineteca del cuore, un fermo immaÂgine: la stessa maglia, lo stesso gesto. Allora, l'indice proÂvocatorio era quello di Long-John. E' vero, quelle erano immagini un pò sbiadite, ricordi impalliditi dal tempo, foÂtografie ingiallite e senza contorno, in un bianco e nero, che, impietosamente, stava lì a rammentartene l'inevitabile lontananza. Insomma, un frammento d'un calcio d'altri tempi, da ricordare per sempre, ma da ricordare come si riÂcorda un qualcosa che non si ripeterà più. E invece... Quel derby del gennaio '89 cambia il destino di Paolo Di Canio, proiettandolo prepotentemente in copertina. ProÂprio la sfida contro i giallorossi era stata, guardacaso, la sua prestazione migliore, con quei piccoli grandi prodigi di un ragazzino sfrontato che s'intestardiva in dribbling apparentemente impossibili, capaci di esaltare i propri supporters ed irritare terribilmente gli esterefatti avversari. Così, in un pomeriggio di gennaio, il ragazzo del QuarticÂciolo s'era ritrovato, all' improvviso, ad essere l'idolo indiÂscusso della tifoseria biancoceleste. Lui, capace di volare ad ali spiegate verso la Sud con quel ghigno strafottente e malandrino dipinto sul viso, d'ora in poi sarebbe stato coÂstretto a calarsi in un ruolo troppo difficile da recitare. Vent'anni sulle spalle, un pò leader, un pò incosciente, Di Canio era diventato lo specchio èdiventato lo specchio di aspirazioni, sogni e ideÂali dei tifosi biancocelesti. Nella Lazio che cominciava lentamente a liberarsi dalle sue frustrazioni, lui, il ragazzo del Quarticciolo, rappresentava la schiettezza e la genuiÂnità . Quelle che ti fanno giurare eterno amore verso i colori che indossi, quelle che ti fanno star sempre in prima linea, a forza di stoccate contro i rivali giallorossi, quelle che ti consigliano di accettare che la commedia delle parti ti rovesci addosso responsabilità soverchianti, anche se sei troppo giovane per reggerne tutto il peso.
Cosi, Paolo Di Canio, si ritrovò sballottato in una storia più grande di lui. Le schermaglie verbali con Nela e GianÂnini, le grottesche incomprensioni con Materazzi, due derby, al Flaminio, trasformati in rissa per il compiaciÂmento dei tifosi e le indignate censure degli addetti ai laÂvori. Il ragazzo del Quarticciolo portava avanti la crociata con orgogliosa ostinazione, ma non bastava crederci, bisoÂgnava avere il coraggio di continuare fino in fondo... Idolatrato prima, ferocemente contestato poi: anche gli intoccabili, a volte, possono essere abbattuti dall'oggi al doÂmani. Era già capitato, in passato, che qualcuno rinnegasse una fede. Ma il tifoso laziale non avrebbe potuto restare insensibile anche di fronte all'ultimo scempio.L'epilogo juventino è quasi una liberazione. Di Canio se ne va a respirare qualche scampalo d'Europa e tanta pariÂchina. Giura che non avrebbe potuto essere altrimenti, che non ha tradito, che era l'unica soluzione. Ma gli credono in pochi... Gli altri dicono che Paolo Di Canio, al pari di tanti freddi professionisti del pallone, pronti a vendersi al miÂglior offerente, s'è separato dalla Lazio per un pugno di dollari in più. Noi, non siamo affatto certi che sia andata davvero così...