L' ARTICOLO di NANTAS SALVALAGGIO - 15/12/1980
in seguito all'apparizione di Vasco il giorno precedente a "Domenica In"
"(...) Ma poi, come una manciata di guano in faccia, è apparso un "complessino" che io destinerei volentieri a tournèe permanenti in Siberia, Alaska e Terra del Fuoco. Il divo di questo "complesso", che più complessato di così si muore, è un certo Vasco. Vasco de Gama? Ma no, Vasco Rossi... Per descriverlo, mi ci vorrebbe la penna di un Grosz, di un Maccari: un bell'ebete, anzi un ebete piuttosto bruttino, malfermo sulle gambe, con gli occhiali fumè dello zombie, dell'alcolizzato, del drogato "fatto". Unico dubbio, e se fingeva? E se alcolizzato o drogato non era per niente? Eh no: un vero artista, anche quando interpreta uno "zombie", un barbone da suburra, un rottame umano, ci mette quel lievito che ti ripaga dalla bruttura del fango, dell'orrido che contiene il personaggio. Invece, quello sciagurato di Vasco era "orrido-nature", orrido-allo-stato-brado.
E non è tutto: era anche banalmente, esplicitamente allusivo. Diceva in parole povere: emozioni forti, sensazioni violente - questo voglio - violente sensazioni, sempre più forti - anche se il prezzo da pagare è la vita...
Era una visione così sgradevole, un messaggio talmente abbietto, che lo stesso Baudo, quando il guittone stracotto è riapparso per ricevere gli applausi di rito, ha tagliato corto con un saluto gelidino (mi è parso): un arrivederci freddo... Ma quell'uomo barcollante, sullo sfondo della periferia bolognese, non lasciò presto la mia mente. Continuò a turbarmi in quanto immaginavo le centinaia di migliaia di ragazzini imberbi, succubi, che dalla tivù bevono tutto quello che viene, come fosse rosolio o elisir di vita eterna. Quell'ebete che esalta le emozioni forti, pensavo, in un crescendo da allucinogeno, è il "profeta audace", il "filosofo del nuovo verbo". E intanto mi chiedevo: gente della Tv, della stampa, del governo, ma quando faremo un'indagine seria, un calcolo aprossimativo, di tutti i giovani che si sono "fatti", che si sono procurati un passaporto per l'altro mondo, sulle orme dei cantori dell'eroina, come quel tale Lou Reed, che a Milano si pronuncia giustamente Lùrid?
Dicevo, all'inizio, che ci sono mattine in cui provi un bisogno fisico, impellente, di "andare giù piatto". E allora, molto piattamente, io chiedo al programmatore di "Domenica In", al mio collega Egidio Sterpa che è nella commissione parlamentare di vigilanza della tivù: "Chi ha chiamato quel povero guitto da suburra? Non esiste un dizionario alla RAI? Oppure: quale partito politico, quale vescovo o notabile o senatore, ha raccomandato il Vasco suonato?". A questo punto, temo, "alti lai" si alzeranno da ben noti ambienti industriali: da quelle case discografiche, voglio dire, che si sono da tempo ritagliato questo losco praticello che esalta con psichedeliche suggestioni, il "messaggio", la "ribellione" della droga. "Ecco", inveiranno, "ecco l'inquisitore, il cieco reazionario: spara sulla cultura! ". Cultura? Eh, già , lettore: è di moda, oggi, chiamare cultura tutto, anche il pernacchio da stadio, anche le scritte nei cessi pubblici. Esiste un sociologo che difende "la cultura della droga". Così va la cultura: mi piacerebbe tanto ascoltare ciò che ne pensano gli illuminati ometti del passato: ma sì, alludo a un Platone, a un Socrate, un Seneca: cosa direbbero del Vasco cotto da periferia? (...)"