elogio del meridionale..........................ROLL
Inviato: dom ago 06, 2006 12:12 pm
Belli senza essere patinati. Ruvidi nei modi, galanti per dna. E fisici. Ritratto di una squadra di sex symbol con Gattuso capitano » Foto
Puoi immaginartelo Rino Gattuso da Schiavonea di Corigliano, un diciannovenne e acerbo calabrese catapultato nella grigia e ventosa Glasgow, dalla quale torna con moglie, stimmate del predestinato e, fortunatamente, accento immutato...
In principio, qualche anno fa, il meridio fu l'Ispanico. «Il mio nome è Massimo Decimo Meridio» dice il gladiatore all'imperatore Commodo nell'arena del Colosseo. E il gladiatore Russell Crowe nella categoria ci sta tutto: non era un reietto da disprezzare, ma un uomo da rispettare per la sua vita, il suo coraggio.
Francesco Totti dopo lo scudetto della Roma si fece tatuare proprio un gladiatore sul braccio. E pure il re del cucchiaio ha il suo lato meridio, anche se un po' particolare...
Il meridio è diverso dall'algido guerriero delle saghe nordiche. È altro rispetto all'iconografia pallida dell'eroe anglosassone.
Più simile al furbo e tozzo Ulisse, per dire. Corto in altezza, scuro di peli e di pelle. Occhi fieri e profondi, sia che li abbia scolpiti d'ebano o che li spalanchi azzurri.
Dopo Germania 2006 il meridio ha nome e cognome. È Fabio Cannavaro, capitano campione del mondo. È Gennaro «Rino» Ringhio Gattuso. Quest'ultimo, da brutto anatroccolo tignoso che era, a furia di rincorrere tutto e tutti con le sue gambe corte, nell'entusiasmo mundial diventa persino bello, conquista allori, interviste, e finisce per piacere.
E sebbene continui a professare il suo credo di lottatore mediterraneo, non sarà mai più lo stesso: è diventato il paradigma estetico di un vincente. Perché il meridio, oltre a essere un prototipo d'umanità , è un uomo che vince anche quando perde (come il gladiatore). Vince con il solo scopo di tornare a casa, un giorno, per raccontare le proprie gesta al bar del paese, davanti a una granita, a un marsala.
D'altronde, lo dice la storia: di solito emigra e poi torna nella sua Itaca, mutato dalle esperienze ma, in fondo, sempre uguale a se stesso.
Cannavaro, emigrante del pallone che al Nord, nelle fabbriche calcistiche di Parma, Inter e Juventus, scala la graduatoria della catena di montaggio pedatoria fino alla fascia di capitano della Nazionale, fino alla Coppa del mondo, guadagnandosi l'empireo pensionistico tra gli dei madrileni del calcio. Cannavaro che, della fierezza meridionale, è diventato una specie di sacerdote mediatico: negli spot pubblicitari gioca ironico con il suo dialetto napoletano, mostrando l'innata sfacciataggine da eterno scugnizzo dietro un'irresistibile faccia da schiaffi.
E con le donne?
Il meridio, si sa, ama per predestinazione, pretendendo dalle femmine in cambio un arcaico rispetto formale. Restituendo alla donna un ruolo di subalterna centralità familiare. Tutto ciò con modi e maniere differenti: che si tratti dell'approccio machista stile reuccio Claudio Villa o della gattopardesca galanteria del pugliese Domenico Modugno.
L'esempio? Ancora oggi la bellezza mediterranea di Valerio Foglia Manzillo risulta irresistibile per la bresciana Luisa Corna, che si innamora del «terun».
Beppe Fiorello, più mascolino del fratello, più credibilmente attore, più segnato dal dna siciliano, è ormai una delle grandi speranze del cinema italiano.
Forse un nuovo Giancarlo Giannini, il quale in Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto di Lina Wertmüller, dipinse da par suo la maschera di un irresistibile siciliano che, dopo un naufragio del natante, sottomette a suon di pugni e mazzate la «bottana industriale» del Nord Mariangela Melato.
Il meridio è macho, deciso, rozzo nei modi ma generoso di cuore.
Come Antonio Di Pietro che, negli impeti passionali delle sue arringhe, sfida, di panza, la resistenza delle asole delle sue camicie e, di fatto, la comprensione dei suoi concetti da parte di chi lo ascolta.
C'è anche chi dello stereotipo rischia di diventare schiavo.
Luca Zingaretti, romano, dell'iconografia meridionale è diventato simbolo.
Il suo Salvo Montalbano è il ritratto più calzante del meridio moderno, instancabile lavoratore, in equilibrio tra passione e controllo, indeciso se amare più la fidanzata del Nord o le ricette della sua Sicilia, talvolta sconfitto dall'amarezza della verità ma mai cieco nel ricercarla.
Un altro meridio «di adozione» è Claudio Amendola: non bello, ma sanguigno da far impallidire i pettinati colleghi d'Oltreoceano.
A ruota l'attore Ricky Memphis, con quella parlata un po' così, modi da uomo che «ha da puzzà », tutto d'un pezzo, incendiario. E ancora Giuliano Sangiorgi, voce dei Negramaro. Un salentino, di quella Puglia selvatica e selvaggia.
Con la sua Nuvole e lenzuola ha ipnotizzato plotoni di ragazzine. Che «lo cantano» a memoria come fosse un Vasco nascente.
Gli uomini immagine del Sud di oggi, quelli maggiormente rappresentativi, sono persone vincenti, limpide e trasparenti, per nulla riconducibili alla trita iconografia omertosa e delinquenziale del Meridione d'antan. Sono tutti eroi positivi, gente che piace alla gente, che ce l'ha fatta, con fatica, per capacità proprie, per intuizioni geniali e per grinta.
Il «terun» con la valigia di cartone, tenuta insieme dallo spago, che il sacrosanto desiderio d'emancipazione portava a ricercare lavoro al Nord, non esiste più.
Esiste il meridio da elogiare, persona seria e concreta che parte alla conquista del mondo e il mondo poi lo porta a casa. O, mal che vada, la Coppa del mondo.
Puoi immaginartelo Rino Gattuso da Schiavonea di Corigliano, un diciannovenne e acerbo calabrese catapultato nella grigia e ventosa Glasgow, dalla quale torna con moglie, stimmate del predestinato e, fortunatamente, accento immutato...
In principio, qualche anno fa, il meridio fu l'Ispanico. «Il mio nome è Massimo Decimo Meridio» dice il gladiatore all'imperatore Commodo nell'arena del Colosseo. E il gladiatore Russell Crowe nella categoria ci sta tutto: non era un reietto da disprezzare, ma un uomo da rispettare per la sua vita, il suo coraggio.
Francesco Totti dopo lo scudetto della Roma si fece tatuare proprio un gladiatore sul braccio. E pure il re del cucchiaio ha il suo lato meridio, anche se un po' particolare...
Il meridio è diverso dall'algido guerriero delle saghe nordiche. È altro rispetto all'iconografia pallida dell'eroe anglosassone.
Più simile al furbo e tozzo Ulisse, per dire. Corto in altezza, scuro di peli e di pelle. Occhi fieri e profondi, sia che li abbia scolpiti d'ebano o che li spalanchi azzurri.
Dopo Germania 2006 il meridio ha nome e cognome. È Fabio Cannavaro, capitano campione del mondo. È Gennaro «Rino» Ringhio Gattuso. Quest'ultimo, da brutto anatroccolo tignoso che era, a furia di rincorrere tutto e tutti con le sue gambe corte, nell'entusiasmo mundial diventa persino bello, conquista allori, interviste, e finisce per piacere.
E sebbene continui a professare il suo credo di lottatore mediterraneo, non sarà mai più lo stesso: è diventato il paradigma estetico di un vincente. Perché il meridio, oltre a essere un prototipo d'umanità , è un uomo che vince anche quando perde (come il gladiatore). Vince con il solo scopo di tornare a casa, un giorno, per raccontare le proprie gesta al bar del paese, davanti a una granita, a un marsala.
D'altronde, lo dice la storia: di solito emigra e poi torna nella sua Itaca, mutato dalle esperienze ma, in fondo, sempre uguale a se stesso.
Cannavaro, emigrante del pallone che al Nord, nelle fabbriche calcistiche di Parma, Inter e Juventus, scala la graduatoria della catena di montaggio pedatoria fino alla fascia di capitano della Nazionale, fino alla Coppa del mondo, guadagnandosi l'empireo pensionistico tra gli dei madrileni del calcio. Cannavaro che, della fierezza meridionale, è diventato una specie di sacerdote mediatico: negli spot pubblicitari gioca ironico con il suo dialetto napoletano, mostrando l'innata sfacciataggine da eterno scugnizzo dietro un'irresistibile faccia da schiaffi.
E con le donne?
Il meridio, si sa, ama per predestinazione, pretendendo dalle femmine in cambio un arcaico rispetto formale. Restituendo alla donna un ruolo di subalterna centralità familiare. Tutto ciò con modi e maniere differenti: che si tratti dell'approccio machista stile reuccio Claudio Villa o della gattopardesca galanteria del pugliese Domenico Modugno.
L'esempio? Ancora oggi la bellezza mediterranea di Valerio Foglia Manzillo risulta irresistibile per la bresciana Luisa Corna, che si innamora del «terun».
Beppe Fiorello, più mascolino del fratello, più credibilmente attore, più segnato dal dna siciliano, è ormai una delle grandi speranze del cinema italiano.
Forse un nuovo Giancarlo Giannini, il quale in Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto di Lina Wertmüller, dipinse da par suo la maschera di un irresistibile siciliano che, dopo un naufragio del natante, sottomette a suon di pugni e mazzate la «bottana industriale» del Nord Mariangela Melato.
Il meridio è macho, deciso, rozzo nei modi ma generoso di cuore.
Come Antonio Di Pietro che, negli impeti passionali delle sue arringhe, sfida, di panza, la resistenza delle asole delle sue camicie e, di fatto, la comprensione dei suoi concetti da parte di chi lo ascolta.
C'è anche chi dello stereotipo rischia di diventare schiavo.
Luca Zingaretti, romano, dell'iconografia meridionale è diventato simbolo.
Il suo Salvo Montalbano è il ritratto più calzante del meridio moderno, instancabile lavoratore, in equilibrio tra passione e controllo, indeciso se amare più la fidanzata del Nord o le ricette della sua Sicilia, talvolta sconfitto dall'amarezza della verità ma mai cieco nel ricercarla.
Un altro meridio «di adozione» è Claudio Amendola: non bello, ma sanguigno da far impallidire i pettinati colleghi d'Oltreoceano.
A ruota l'attore Ricky Memphis, con quella parlata un po' così, modi da uomo che «ha da puzzà », tutto d'un pezzo, incendiario. E ancora Giuliano Sangiorgi, voce dei Negramaro. Un salentino, di quella Puglia selvatica e selvaggia.
Con la sua Nuvole e lenzuola ha ipnotizzato plotoni di ragazzine. Che «lo cantano» a memoria come fosse un Vasco nascente.
Gli uomini immagine del Sud di oggi, quelli maggiormente rappresentativi, sono persone vincenti, limpide e trasparenti, per nulla riconducibili alla trita iconografia omertosa e delinquenziale del Meridione d'antan. Sono tutti eroi positivi, gente che piace alla gente, che ce l'ha fatta, con fatica, per capacità proprie, per intuizioni geniali e per grinta.
Il «terun» con la valigia di cartone, tenuta insieme dallo spago, che il sacrosanto desiderio d'emancipazione portava a ricercare lavoro al Nord, non esiste più.
Esiste il meridio da elogiare, persona seria e concreta che parte alla conquista del mondo e il mondo poi lo porta a casa. O, mal che vada, la Coppa del mondo.