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Messaggioda pinodipinot il ven mar 23, 2007 11:10 am

AlexLiam ha scritto:
kaa ha scritto:
ArcherV ha scritto:allucinante!
ora non solo vedremo maglie rosse con la faccia del che, ma anche verdi! :lol:


ovviamente fuoco ad entrambe


:31:


chiedervi di argomentare mi sembra eccessivo.
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Messaggioda gius il ven mar 23, 2007 12:18 pm

Che Guevara era un bandito criminale comunista. Molti giovani si sentono 'fighi' e 'alla moda' indossando una maglia del Che a dimostrazione del fatto che inseguono un'ideologia, quella comunista, di cui non sanno nulla nei suoi aspetti fatti volutamente apparire oscuri per mascherare la violenza e l'orrore del comunismo.

Tratto da Il Corriere della Sera del 16/07/05

Il mito del comandante riletto da un saggista latinoamericano
Così il Che è diventato il logo del capitalismo
«La sua faccia è su magliette e accendini, ma molti fan ignorano i misfatti del guerrigliero. Che ordinò centinaia di esecuzioni...»

Dopo aver fatto così tanto (o così poco?) per distruggere il capitalismo, Che Guevara è diventato un marchio che è la quintessenza del capitalismo stesso. La sua immagine compare su tazze, berretti, accendini, portachiavi, portafogli, bandane, top, blue jeans, confezioni di tè alle erbe e, naturalmente, sulle immancabili t-shirt con la fotografia di Alberto Korda che ritrae l’idolo socialista con il berretto nei primi anni della rivoluzione, l’immagine che a 38 anni dalla morte del Che è ancora il simbolo dello chic rivoluzionario (o capitalista?). Sean O’Hagan ha scritto sull’ Observer che esiste persino un detersivo in polvere con lo slogan «Il Che lava più bianco».
Dei prodotti del Che si occupano grandi corporation e piccole ditte,
L'immagine del Che sulle magliette di un giovane cinese (Ap)
come la Burlington Coat Factory, nel cui spot tv figura un ragazzo in abiti da lavoro e t-shirt del Che, o la Flamingo’s Boutique di Union City, nel New Jersey: il proprietario ha arginato la furia degli esuli cubani locali ricorrendo all’imbattibile argomento del «vendo qualsiasi cosa la gente desideri comprare». Neanche i rivoluzionari sono immuni dalla frenesia del mercato: The Che Store, il negozio del Che su Internet, soddisferà «tutte le vostre esigenze rivoluzionarie»; il giornalista italiano Gianni Minà ha venduto a Robert Redford i diritti del film ispirato al diario del viaggio che il giovane Che fece in Sudamerica nel 1952, in cambio del permesso di accedere al set, sul quale ha potuto girare un proprio documentario. Per non parlare di Alberto Granado, che accompagnò il Che in quel viaggio e oggi fa da consulente ai documentaristi mentre - come riporta El País - tra vino della Rioja e magret d’anatra si lamenta da Madrid di non poter riscuotere i diritti per colpa dell’embargo americano contro Cuba. (...)
La trasformazione di Che Guevara in un marchio capitalista non è nuova ma il marchio ha conosciuto un revival piuttosto significativo, poiché giunge anni dopo il collasso politico e ideologico di tutto ciò che Guevara ha rappresentato. Una ripresa insperata, dovuta principalmente a I diari della motocicletta , il film prodotto da Robert Redford e diretto da Walter Salles. (...) Per l’esattezza, questo ritorno di fiamma è iniziato nel 1997, quando, nel trentesimo anniversario della morte del Che, sono comparse nelle librerie cinque biografie e sono stati rinvenuti i resti di Guevara nei pressi di una pista dell’aeroporto boliviano di Vallegrande, in seguito alle rivelazioni fatte, con particolare tempismo, da un generale boliviano in pensione. L’anniversario ha richiamato l’attenzione sulla celebre fotografia di Freddy Alborta al cadavere del Che steso su un tavolo, romantico come il Cristo dipinto da Mantegna.
È normale che i fedeli di un culto non conoscano la verità storica sul loro eroe. Non sorprende che gli attuali seguaci di Che Guevara, i suoi nuovi ammiratori postcomunisti, si autoingannino aggrappandosi a un mito - eccezion fatta per i giovani argentini, che hanno coniato l’espressione: «Tengo una remera del Che y no sé por qué», «Ho una maglietta del Che e non so perché».
Pensiamo a quanti hanno recentemente brandito o invocato il volto del Che come icona di giustizia e di ribellione agli abusi del potere. In Libano, i dimostranti che protestavano contro la Siria sulla tomba del primo ministro Rafiq Hariri portavano l’immagine del Che. Thierry Henry, un calciatore francese che gioca nell’Arsenal, in Inghilterra, si è presentato a un megagalà organizzato dalla Fifa, la federazione calcistica mondiale, indossando una t-shirt del Che. In una recente recensione del film La terra dei morti viventi di George A. Romero pubblicata sul New York Times , Manohla Dargis ha scritto: «Lo choc maggiore è la trasformazione di un nero zombie in un retto leader rivoluzionario». E ha aggiunto: «Immagino che il Che viva, dopo tutto».
In un viaggio in Venezuela, nel corso del quale ha incontrato Hugo Chávez, il campione di calcio Maradona ha esibito un emblematico tatuaggio del Che sul braccio destro. A Stavropol, nel sud della Russia, i manifestanti che denunciavano le concessioni statali a pagamento hanno raggiunto la piazza centrale sventolando bandiere del Che. A San Francisco, la leggendaria City Light Books, tempio della letteratura beat, offre ai visitatori una sezione dedicata all’America latina, nella quale metà degli scaffali regge libri sul Che. José Luis Montoya, un poliziotto messicano che combatte il traffico di droga a Mexicali, indossa un fazzoletto del Che perché lo fa sentire più forte. Nel campo profughi di Dheisheh, in Cisgiordania, i manifesti del Che decorano una parete che celebra l’Intifada. Un domenicale di Sydney, in Australia, elenca i tre ospiti ideali per un party: Alvar Aalto, Richard Branson e Che Guevara. Leung Kwok Hung, il ribelle eletto al Consiglio legislativo di Hong Kong, sfida Pechino indossando una t-shirt del Che. In Brasile, Frei Betto, consigliere del presidente Lula da Silva responsabile del programma «Fame zero», ritiene che «avremmo dovuto prestare meno attenzione a Trotskij e molta di più a Che Guevara».
La più famosa: alla cerimonia degli Academy Awards di quest’anno, Carlos Santana e Antonio Banderas hanno interpretato il tema musicale de I diari della motocicletta; Santana portava una t-shirt del Che e un crocifisso. Espressioni del nuovo culto del Che sono ovunque. Ancora una volta, il mito attrae persone la cui causa rappresenta l’esatto opposto di ciò che era Guevara. (...)
Nel gennaio 1957, come indicato nel diario della Sierra Maestra, Guevara sparò a Eutimio Guerra, sospettato di aver rivelato delle informazioni: «Ho risolto il problema con una calibro 32, nella parte destra del cervello... Ciò che apparteneva a lui ora era mio». Più tardi sparò ad Aristidio, un contadino che aveva espresso il desiderio di ritirarsi appena i ribelli si fossero spostati. E mentre si domandava se la vittima «fosse colpevole al punto da meritare la morte», non esitava a ordinare l’uccisione di Echevarría, fratello di un compagno, colpevole di crimini imprecisati: «Doveva pagare». In altre occasioni simulava le esecuzioni senza portarle a termine, una forma di tortura psicologica. Luis Guardia e Pedro Corzo, due ricercatori della Florida che stanno lavorando a un documentario su Guevara, hanno ottenuto la testimonianza di Jaime Costa Vázquez, un ex comandante dell’esercito rivoluzionario noto come «El Catalán», secondo il quale molte delle esecuzioni attribuite a Ramiro Valdés, futuro ministro degli Interni cubano, sono invece direttamente imputabili a Guevara, perché sulle montagne Valdés ne eseguiva gli ordini. «In caso di dubbio, uccidete», era la direttiva del Che.
Alla vigilia della vittoria, secondo Costa, il Che avrebbe ordinato l’esecuzione di una ventina di persone a Santa Clara, al centro di Cuba. Alcuni furono uccisi in un hotel, come ha scritto Marcelo Fernándes-Zayas, altro ex rivoluzionario poi diventato giornalista, precisando che tra gli uccisi, i casquitos, c’erano contadini che si erano uniti all’esercito solo per non restare disoccupati. Eppure, la «macchina che uccideva a sangue freddo» non mostrò appieno la sua ferocia finché, immediatamente dopo il crollo del regime di Batista, Castro gli affidò la direzione del carcere di La Cabaña. (Castro aveva un talento innato nello scegliere le persone adatte a proteggere la rivoluzione dall’infezione). San Carlos de La Cabaña era una fortezza di pietra utilizzata nel XVIII secolo per difendere l’Avana dai pirati inglesi; più tardi divenne una caserma militare. Guevara ne fu direttore nella prima metà del 1959, in uno dei periodi più neri della rivoluzione. José Vilasuso, avvocato e professore alla Universidad Interamericana de Bayamón di Porto Rico ed ex membro dell’organismo che si occupava dei processi sommari di La Cabaña, mi ha recentemente raccontato: «Il Che presiedeva la Comisión Depuradora. Il processo rispettava la legge della Sierra: c’era una corte militare e secondo le indicazioni del Che dovevamo agire con convinzione, perché erano tutti assassini e procedere in modo rivoluzionario significava essere implacabili. Il mio diretto superiore era Miguel Duque Estrada. Il mio compito consisteva nel sistemare le pratiche prima che fossero inviate al ministero. Le esecuzioni si svolgevano dal lunedì al venerdì, in piena notte, appena dopo l’emissione della sentenza e l’automatica conferma in appello. Nella notte più orribile che io ricordi, furono uccisi sette uomini».
Javier Arzuaga, il cappellano basco che recava conforto ai condannati a morte e fu testimone di decine di esecuzioni, mi ha recentemente incontrato nella sua casa di Porto Rico. Ex prete cattolico, oggi settantacinquenne, si definisce «più vicino a Leonardo Boff e alla teologia della Liberazione che all’ex cardinale Ratzinger» e ricorda: «C’erano circa ottocento prigionieri in uno spazio capace di contenerne non più di trecento: ex militari e poliziotti dell’era di Batista, giornalisti, qualche uomo d’affari e alcuni commercianti. Il tribunale rivoluzionario era formato da uomini delle milizie. Che Guevara presiedeva la Corte d’appello. Non ha mai annullato una sentenza. Visitavo il braccio della morte nella Galera de la muerte. Si sparse la voce che ipnotizzavo i prigionieri perché molti restavano calmi, così il Che diede l’ordine che fossi presente alle esecuzioni. Dopo la mia partenza in maggio furono eseguite ancora molte sentenze, io vidi 55 esecuzioni. C’era un americano, Herman Marks, evidentemente un ex carcerato. Lo chiamavamo "il macellaio" perché provava piacere a dare l’ordine di sparare. Difesi davanti al Che la causa di numerosi prigionieri. Ricordo in particolare il caso di un ragazzo, Ariel Lima. Il Che non si smosse. Né cambiò idea Fidel, al quale feci visita. Rimasi così sconvolto che alla fine del mese di maggio 1959 mi fu ordinato di lasciare la parrocchia di Casa Blanca, dove si trovava La Cabaña e dove avevo celebrato la messa per tre anni. Andai a curarmi in Messico. Il giorno che partii, il Che mi disse che ciascuno di noi aveva tentato di portare l’altro dalla propria parte, invano. Le sue ultime parole furono: "Quando ci toglieremo le maschere, ci ritroveremo nemici"».
Quante persone furono uccise a La Cabaña? Pedro Corzo propone una stima di duecento vittime, simile a quella calcolata da Armando Lago, un professore di economia in pensione che ha compilato un elenco di 179 nomi. Vilasuso sostiene che tra gennaio e la fine di giugno del 1959 (quando il Che lasciò l’incarico a La Cabaña) furono uccise quattrocento persone. Cablogrammi segreti inviati dall’ambasciata americana dell’Avana al Dipartimento di Stato a Washington parlavano di «oltre cinquecento». Secondo Jorge Castañeda, uno dei biografi di Guevara, padre Iñaki de Aspiazú, cattolico basco vicino alla rivoluzione, avrebbe parlato di settecento vittime. Félix Rodríguez, un agente della Cia che fece parte della squadra incaricata di dare la caccia a Guevara in Bolivia, mi ha raccontato di aver affrontato con il Che la questione delle «circa duemila» esecuzioni delle quali era responsabile. «Disse che erano tutti agenti della Cia e non fornì il numero», ricorda Rodríguez. Le cifre più elevate possono tenere conto di esecuzioni che ebbero luogo nei mesi successivi al termine dell’incarico del Che a La Cabaña.
E questo ci riporta a Carlos Santana, al suo abbigliamento chic in stile Che. In una lettera aperta pubblicata su El Nuevo Herald il 31 marzo di quest’anno, il grande musicista jazz Paquito D’Rivera ha criticato Santana per l’abbigliamento esibito agli Oscar e ha aggiunto: «Uno dei cubani di La Cabaña era mio cugino Bebo, rinchiuso perché cristiano. Mi racconta con amarezza infinita di quando dalla sua cella, all’alba, sentiva la voce dei tanti che, senza processo, morivano gridando "Lunga vita a Cristo re!"».
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Messaggioda pinodipinot il ven mar 23, 2007 1:36 pm

gius,e postando un articolo del corriere della sera cosa vorresti dimostrare?
intanto Che Guevara non era un santo.
Neanche Cristo è stato un santo,perchè i santi non esistono.
Poi,conosci la storia di Cuba?
prima di Castro c'era un regime sanguinario,solo che era pappa&cicca con gli Usa e allora lo si giustifica no?Batista(non il wrestler)ha fatto ammazzare migliaia di persone,e quando la guerriglia rivoluzionaria conquista il potere mi sembra più che naturale vendicare i compagni morti...attenzione però,non giustifico il comportamento del Che o di Fidel,però neanche lo giudico.
Insomma per una persona come gius George W Bush o Kennedy o Nixon o chi per loro sono giustificati per aver AMMAZZATO milioni di persone in giro per il mondo,perchè la formula "o noi o voi" vale solo quando si tratta di comunisti,pseudo terroristi o negri.
Che Guevara era un ragazzo medico generoso che ha viaggiato con una motoretta per tutto il sud america aiutando i bisognosi che non potevano permettersi nemmeno un'aspirina...i suoi ideali vanno per lo meno rispettati,perchè sono ideali che toccano le corde dello spirito umano. Poi che politicamente sia lontano dalla tua visione del mondo questo è un altro discorso,ma ridurre un personaggio così a "comunsita assassino" mi pare una forzatura..degna di chi non conosce un pelo della vita del Che ma parla per sentito dire.
Cioè,qui c'è chi dice che mussolini non era un assassino e io non dovrei difendere il Che?
ps: per quanto riguarda il merchandising della sua immagine concordo con l'articolo,ma mi sembra scritto da un coglione in quanto sembrerebbe incolpare un morto del fatto che si vendono le sue maglie.

ah e non parlare di un ideologia di cui non sai NIENTE e quel poco che sai lo hai appreso per sentito dire da berlusconi e fede(che non mi sembrano poi questi professoroni eh...)
e soprattutto non fare l'idea di accumulare il comunismo all'urss perchè ci sono migliaia di correnti all'interno dell'ideologia comunista. Se le conosci parla,altrimenti taci.
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Messaggioda Zack il ven mar 23, 2007 1:47 pm

su che guevara potranno dire e scrivere quello che gli pare...
almeno lui e' morto da eroe, come liberatore di popoli oppressi, non come un vigliacco che scappava dall'italia sotto divisa tedesca. come ha detto giustamente pino, che guevara si batteva per la gente che non aveva nulla...e credo che se fosse ancora vivo oggi, remerebbe un po' contro fidel castro...
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Messaggioda kaa il ven mar 23, 2007 4:38 pm

pinodipinot ha scritto:
AlexLiam ha scritto:
kaa ha scritto:
ArcherV ha scritto:allucinante!
ora non solo vedremo maglie rosse con la faccia del che, ma anche verdi! :lol:


ovviamente fuoco ad entrambe


:31:


chiedervi di argomentare mi sembra eccessivo.
mea culpa.
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non stimo nemmeno lontanamente che guevara per cui darei fuoco ai vari vessilli che ci stanno e che spuntano nei luoghi meno idonei ad ogni occasione
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Messaggioda Saruzzu il ven mar 23, 2007 5:31 pm

Dargli fuoco no , ma di certo non do importanza a certe cose...
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Messaggioda Promentory1985 il ven mar 23, 2007 6:26 pm

Alex ha scritto:
Promentory1985 ha scritto:
Alex ha scritto:Ok allora punto di riferimento no.. tu cosa proponi? :)


i punti di riferimento sono altri, non è che io vado in giro con le magliette con la sua faccia stampata o qualsiasi altro gadget per vantarmi di lui. :)

apprezzo sicuramente la sua intenzione di dare libertà ad un popolo, cosa per cui hanno combattuto molti altri "miti" della mia cultura di riferimento, però è logico che lui aveva una concezione della vita radicalmente opposta alla mia (anche se onestamente, aldilà di ciò che dice l'articolo postato da pinot nella prima pagina, non so quanto lui potesse essere definito marxista) e soprattutto mi lascia perplesso il fatto di aver combattuto contro un regime totalitario e accanto a uno che poi avrebbe instaurato un regime altrettanto repressivo e dannoso per la storia e la cultura cubana.
tanto per dire: se 40 anni fa mi fossi trovato davanti fidel castro e che guevara e avessi avuto una pistola con un solo colpo in canna sicuramente l'avrei usato contro fidel.

non so che ne pensiate voi...


Ah ok, allora c'è stato un malinteso.. forse non mi ero spiegato bene ma se noti io avevo detto "da movimenti di destra" che vuol dire "da alcuni movimenti", non certo dalla destra intera (E vorrei vedere..) :)


non ti azzardare mai più :D


x pino: se ti parlo di "miti" ti posso parlare di bobby sands e la sua lotta per liberare il suo paese dalla piovra inglese, oppure andando piu indietro ti cito tutti quelli che in contemporanea allo sviluppo del fascismo in Italia hanno creato nei loro paesi movimenti tesi alla costruzione di un' europa sovrana e indipendente formata dalle identità di tutti i popoli europei (codreanu, leon degrelle ecc.).
poi andando ancora più indietro ripenso alla Vandea francese, una zona fortemente cattolica e attaccata alla monarchia e per questo vittima della repressione da parte dei cosiddetti "rivoluzionari" della rivoluzione francese.
tanto per farti capire...

e degli insulti che riceverò da piu persone non me ne frega niente
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Messaggioda Zack il ven mar 23, 2007 7:02 pm

cazzo ma bobby sands e' un grande...
cioe' e' morto per uno scipoero della fame lunghissimo che difendeva le sue idee e quelle del popolo irlandese...
certo che poi ne e' stato fatto abuso da casa pound, o da movimeti di destra e' un altro conto
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Messaggioda Definitely'89 il ven mar 23, 2007 10:39 pm

Promentory1985 ha scritto:poi andando ancora più indietro ripenso alla Vandea francese, una zona fortemente cattolica e attaccata alla monarchia e per questo vittima della repressione da parte dei cosiddetti "rivoluzionari" della rivoluzione francese.
tanto per farti capire...

piccola precisazione:la Vandea si era ribellata a causa del fatto che dopo la rivoluzione le continue guerre,volute non solo dai rivoluzionari ma dagli stessi nobili e dal re,avevano aggravato le imposte nei loro confronti:la loro non fu una rivolta contro la rivoluzione e i rivoluzionari dettata da ideali,ma piuttosto dalla fame e fu contro tutto il sistema francese. Poi n va dimenticato che i vandeani furono "usati" e imbrogliati dei Chounes,nobili e alti borghesi filomonarchici che preparono il colpo di stato del 1795,represso non dai rivoluzionari giacobini ma da napoleone su ordine dei consiglieri della seconda costituzione dell'anno III durante il Terrore bianco, dai così detti moderati, che ogni anno in vista delle elezioni parziali annualmente compivano a loro volta colpi di stato x impedire che la francia cadesse nelle mani dei neogiacobini o dei filomonarchici.
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Messaggioda Promentory1985 il sab mar 24, 2007 9:40 am

allora, i vandeani si erano lamentati anche prima della rivoluzione francese, perchè il re aveva aggravato le imposte per far fronte alla crisi economica ed alla fine era arrivato ad un mezzo compromesso "spalmando" i tributi in più tempo.
poi dopo la rivoluzione fu imposta ugualmente una pressione fiscale altissima, ma senza condizioni e che avrebbe ucciso l'economia di quella zona, formata essenzialmente da contadini, artigiani, gente del popolo e attaccata alla propria terra e dipendente da essa. ma questa volta ogni piccolo tentativo di ribellione venne soppresso fino ad arrivare a decidere un genocidio nei confronti di questa gente, anche di natura ideologica visto il loro forte attaccamento ai valori anti-illuministici e della monarchia più pura.
e non sto a dire perchè quando si studia la rivoluzione francese queste cose rimangono sempre fuori...

x zack: è vero, le lotte di bobby sands sono state prese come punto di riferimento da movimenti di destra, ma fino a un certo punto in maniera strumentale, perchè alla fine quello è un eroe in cui uno di quell'area può riconoscere i prorpi ideali
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