lo scaruffi...non è proprio contro gli oasis
Inviato: ven giu 10, 2005 8:44 am
guardate cosa ho trovato spulciando nel sito dello scaruffi( ve lo ricordate ?)
Dig Your Own Hole (Astralwerks, 1997), il secondo, attesissimo, album del duo piu` celebre del techno mondiale (davvero le uniche superstar del genere) riparte dai loro esordi, dalla fusione fra ballabile e rock. Il singolo Block Rockin' Beats propone una miscela esplosiva di campionamenti fantasiosi alla Public Enemy e di sincopi sismiche e rumori violenti. L'armonia di tutti i brani e` costruita in maniera certosina, accentuando il senso di artificiale che il loro meticoloso montaggio ha sempre conferito alle musiche. Le chitarre sono in primo piano e i ritmi fanno palesemente il verso al primo hip-hop di New York.
Gli otto minuti di Elektro Bank sono emblematici del programma del disco con le continue metamorfosi dell'arrangiamento attorno a una complessa cadenza poliritmica. La fanfara interrotta e riciclata all'infinito di Piku e` un saggio di equilibrismo armonico da parte di due consumati attori del campionamento. La metronomia demenziale di It Doesn't Matter ha la stessa funzione sul fronte della sperimentazione ritmica. Talvolta l'eccesso di eventi sonori finisce pero` per nuocere all'identita` del brano (la title-track affoga fra glissando "hendrixiani", sirene, tribalismi africani e pulsioni funky) .
Ancora una volta, verso la fine il disco acquista compostezza e serieta`, con una Where Do I Begin cantata in maniera folk da Beth Orton e un monumentale, trascinante raga dell'assurdo come Private Psychedelic Reel, summa della loro arte di puzzle (in collaborazione con i Mercury Rev), capace di citare il mistico minimalismo di Terry Riley e le dissonanze scrobutiche di Morton Subotnick.
Il culmine dell'operazione, e forse della loro carriera, e` rappresentato da Setting Sun (Astralwerks, 1996), un singolo spettacolare (Noel Gallagher degli Oasis al canto) che decostruisce la Tomorrow Never Knows dei Beatles.
Dig Your Own Hole (Astralwerks, 1997), il secondo, attesissimo, album del duo piu` celebre del techno mondiale (davvero le uniche superstar del genere) riparte dai loro esordi, dalla fusione fra ballabile e rock. Il singolo Block Rockin' Beats propone una miscela esplosiva di campionamenti fantasiosi alla Public Enemy e di sincopi sismiche e rumori violenti. L'armonia di tutti i brani e` costruita in maniera certosina, accentuando il senso di artificiale che il loro meticoloso montaggio ha sempre conferito alle musiche. Le chitarre sono in primo piano e i ritmi fanno palesemente il verso al primo hip-hop di New York.
Gli otto minuti di Elektro Bank sono emblematici del programma del disco con le continue metamorfosi dell'arrangiamento attorno a una complessa cadenza poliritmica. La fanfara interrotta e riciclata all'infinito di Piku e` un saggio di equilibrismo armonico da parte di due consumati attori del campionamento. La metronomia demenziale di It Doesn't Matter ha la stessa funzione sul fronte della sperimentazione ritmica. Talvolta l'eccesso di eventi sonori finisce pero` per nuocere all'identita` del brano (la title-track affoga fra glissando "hendrixiani", sirene, tribalismi africani e pulsioni funky) .
Ancora una volta, verso la fine il disco acquista compostezza e serieta`, con una Where Do I Begin cantata in maniera folk da Beth Orton e un monumentale, trascinante raga dell'assurdo come Private Psychedelic Reel, summa della loro arte di puzzle (in collaborazione con i Mercury Rev), capace di citare il mistico minimalismo di Terry Riley e le dissonanze scrobutiche di Morton Subotnick.
Il culmine dell'operazione, e forse della loro carriera, e` rappresentato da Setting Sun (Astralwerks, 1996), un singolo spettacolare (Noel Gallagher degli Oasis al canto) che decostruisce la Tomorrow Never Knows dei Beatles.