L'ultimo vero album risale ad un lustro fa, ai tempi del buon Come on Feel the Illinoise, quando ancora questo genietto fragile e generoso sosteneva che avrebbe dedicato un album ad ogni stelletta della bandiera USA. All'epoca un po' ci credevamo e, chissà , forse un po' ci crediamo ancora. Ma da allora si sono avvicendate solo raccolte di outtakes e progetti irrimediabilmente collaterali rispetto ad una strada maestra che sembrava tra le più gravide in circolazione. Oggi - folgorato sulla via dei The National, coi quali ha stretto un sodalizio tanto imprevedibile quanto fruttuoso - è il tempo del rientro in carreggiata. Con correzione di rotta. E un surplus di potenza. Tanto che quale antipasto al nuovo album The Age Of Adz, in uscita ad ottobre, Mr. Stevens può permettersi di apparecchiare il qui presente EP.
Mica roba leggera: otto tracce per un'ora di musica. Ovvero un album bello e buono, signori miei. All'insegna di un sogno folk seventies che tratteggia bozzetti bucolici, scava solchi acidi e intreccia trame epiche, la barra del songwriting tenuta salda e trepida attraverso le schermaglie moderniste ed il fortunale para-prog. La titile-track è una suite in piena regola - si parla di apocalisse, si omaggiano i Simon And Garfunkel di Sound Of Silence - proposta in due versioni: una "original" lunga quasi dodici minuti tra vampe corali, squilli orchestrali ed elettricità , e una "classick rock", più breve (otto minuti abbondanti) e dal passo più blando come un miraggio laterale The Band con additivi Grateful Dead. C'è poi una Djohariah - è il nome di una sorella del Sufjan - che ti sbatacchia in un flusso di aspro e soave psych-folk per una dozzina di minuti prima che arrivi la canzone vera e propria: c'è sentore di eccesso voluto, il retrogusto della posa, ma alla fine il pezzo si compie in equilibrio sul filo di un'espressività calda, urgente e sbrigliata. Cose che capitano negli ep, appunto, da sempre luogo di azzardo, deviazione e divertimento, ben più che nella "istituzionale" dimensione dell'album.
Quanto agli altri episodi, sono al più lirici e meditabondi, non privi di nutritiva stranezza (come il sirtaki sghembo di Arnika), di dolcezza lisergica (Enchanting Ghost, tipo un apocrifo del giovane David Crosby), di ineffabile pensosità (la bellissima The Owl And The Tanager, che non spiacerebbe ad Antony). Tutto ciò in attesa di un lavoro lungo - ahem - che dovrebbe assestarsi su coordinate electropop. Ok, ha tutta l'aria d'una situazione bizzarra a dir poco. Come dire, Sufjan Stevens è tornato ed è - sembrerebbe - in grande forma.
(7.4/10)
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