da Saruzzu il dom nov 06, 2011 10:24 am
paolo madeddu su rolling stone italia, a voi le conclusioni.
Non hanno mai scritto un pezzo veramente memorabile. Non sono né veramente rock né veramente pop. Eppure sono primi in classifica (in Inghilterra). E, di tutte le band “con la K†(Kaiser Chiefs, Keane, Killers, Kooks…), sono i nostri preferiti. Veramente!
Sono qui in un angolo: guardo, scrivo, senza dare fastidio alle persone che lavorano e producono fatturato. Non interagisco, non ammicco, non mi fingo amico di nessuno. A mio modesto parere, in un mondo perfetto questo dovrebbe essere il compito dei critici: non atteggiarsi a wild boys, né imitare la scrittura di Lester Bangs, né andare in tb a stronzetteggiare. E in questo studio fotografico provo a fare precisamente questo, una volta tanto. E’ bello, rilassante. Ma detto del mio compito (e compitino), qual è invece il compito delle rock band oggi? Cerco di capirlo osservando i Kasabian.
Tom e Sergione si guardano le scarpe. Sono fisicamente diversissimi. Sergio è magro, ma tanto; perfetto per un mise semi-minacciosa; Tom, un po’ bassino e inquartato, è buffo nel cappottone. E’ buffo per natura. Dove sono gli altri del gruppo? Contano qualcosa? Tom e Sergio sono una classica diade rock: il frontman estroverso e il chitarrista gramo che parla poco. Dopo più di un decennio di band e quattro album, si avverte una bella complicità tra i due. A tratti Sergio sorride mentre Tom, che in ogni movimento pare far perno su di lui, pare raccontargli il mondo. Beninteso, la sua versione del mondo prevede ogni due parole un fockin’. L’ho intervistato – mmmmh, quattro anni fa? – e il suo inglese è gemellabile con l’italiano di Pupone Totti.
Io per i Kasabian ho una simpatia. Sì: tutte le volte che premetto “simpatia†parlando di qualcuno, finisco per macellarlo… Però credetemi: ho ben tre loro pezzi sul mio lettore mp3. C’è un importante marchio di abbigliamento, per il quale i Kasabian hanno posato di recente, che ritiene la loro attitudine rock molto credibile, da manuale, proprio. E forse hanno ragione. Li ho visti supporter degli Oasis, anni fa: sanno come scuotere uno stadio. Uno stadio britannico, perlomeno. Se andassero stasera in un programma Mediaset – uno qualunque – eseguendo la loro hit più famosa, nessuno nel pubblicane la riconoscerebbe. Laddove se da Maria o Gerry o uno degli altri pupazzi ci andassero i Rolling Stone, forse con un’Angie la sfangherebbero: in fondo Virgin Radio la manda ogni 20 minuti, tra Sweet Child O’Mine dei Guns’ e un qualche vecchio pezzo di Billy Idol. Escludendo che nel nuovo disco dei Kasabian ci siano future colonne di Virgin Radio: penso non siano proprio interessati a scrivere quel tipo di inno per il pubblicane. Non possono o non vogliono? E’ così difficile billyidolizzarsi? Forse la loro major li implora in ginocchio di farlo. Ma loro no, per qualche motivo lasciano l’incombenza ad altri gruppi-kappa. Kaiser Chiefs, Killers. Kooks, Keane.
Nel mio angolino, mi metto a ipotizzare questa reticenza per il pezzone epocale. E ritorno su quella faccenda delle diadi del rock, che è forse una delle cose davvero rimarchevoli della musica sbarazzina che ci piace. I prototipi ovviamente sono Lennon-McCartney e Jagger-Richards. Se volete fare Rock&Roll, sceglietevi un partner. Perché i giornali individuano sempre “il leader†di un gruppo, ma sono fesserie: una band è una squadra che si sviluppa lungo un asse tipo quello nel basket tra play e pivot (…ehi, state prendendo appunti?). Sceglietevi qualcuno così diverso – anche fisicamente – da completarvi, ma anche di una tale diversità da alimentare il lato oscuro del più ombroso dei due. Lennon e Richards hanno dato grandi cose quando la frustrazione per non essere quello più amato gli è bruciata di più. Mi chiedo se un problema dei Kasabian non sia che l’estroverso e il gramo sono troppo amici. In Velociraptor!, album ambiziosetto e non facilmente commestibile, non c’è rabbia né disagio. D’altronde i Kasabian hanno persone che li acclamano, sono pagati per suonare, girano il mondo, posano con bei vestiti, vanno in copertina su Q con due topolone che gli si strusciano contro e che – forse – alla fine di una serata downtown gli si buttano nel letto.
Tom e Sergio hanno l’aria stanca, sbattuta degli Stones sulla copertina di Between the Buttons (quinto album). Tom fa qualche gag: dà bacini a Sergio, gioca sul set, scherza coi fotografi, fa pose da pugile. Beve una Falanghina e la suda in tre secondi. Ha una rosa sul braccio. Sergione rimane seminudo: non ha tatuaggi visibili, né addominali. Tom ha mutande terribili, colorate. Di fockin’ marca, tiene a rimarcare. E sapete cosa? Esistono centinaia di gruppi più ispirati dei Kasabian. In Germania, Lituania, Svezia, Spagna (in Portogallo sicuramente no). Però noi sappiamo – più o meno – l’inglese. E quelli lassù hanno un’industria del rock e del pop che è una macchina, altro che la moda o le auto qui. L’industria ti adotta se ce la fai a Londra. Se ce la fai accedi al livello successivo, cioè sei preso in considerazione senza tante storie anche da noi. E pensi di non dover provare più niente a nessuno.
Così, perversamente, mentre lancia le band, Londra le sta già distruggendo. In favore della “Next Big Thingâ€. Se la casa discografica che ha preso il pesce è molto grossa e vuole rientrare nelle spese, insiste generosamente nel sostenere la band. Altrimenti, assisterà frustata mentre la band funziona nei festival e negli stadi, posa con bei vestiti, ma non vende quei dischi ambizioni però difficili da masticare perché una rock band non sente più il compito di vendere album. Forse è un bene, non saprei dire: è un momento di transizione, l’album sta morendo ma continuiamo a chiedergli risposte.
I Kasabian domani saranno a Berlino o Madrid, a farsi fotografare, a sentirsi chiedere perché hanno fatto il disco che hanno fatto. Bah, spiegare: una cosa così poco rock&roll. Una cosa da critici. Forse Sergione e Tom biascicheranno risposte fockin’ confuse quanto la mia. Se non altro, avranno l’alibi della Falanghina.
Paolo Madeddu – Rolling Stone Italia
Novembre 2011
don’t know, don’t care, all i know is you can take me there