porzel ha scritto:http://xl.repubblica.it/dettaglio/79986
Cosa hanno fatto i Baustelle dopo l’ultimo disco, Amen, del 2008?
«Abbiamo avuto l'opportunità di realizzare la colonna sonora per il film Giulia non esce la sera di Giuseppe Piccioni. È una cosa che volevano fare da tempo, perché da sempre i Baustelle sono legati al cinema e alla sua musica. Siamo contenti perché pur essendo stato difficile ci siamo confrontati con un modo diverso di lavorare. Quando lavori per il cinema e sei al servizio di un regista devi mettere da parte l'ego e diventare un umile servitore. Il nuovo disco dei Baustelle nasce un po' con questo spirito che poi è quello del mistico. Volevamo servire in tavola un cuore poco cotto, quasi crudo. Cercare di essere più diretti possibile e andare dritto al sodo».
Questo disco è molto “visivoâ€.
«È vero, i riferimenti al cinema ci sono sempre stati nei nostri dischi. Per gli arrangiamenti ci siamo molto ispirati al Morricone “spaghetti westernâ€. Abbiamo scelto quel tipo di mondo perché è stato rivoluzionario. Nessuno mai in Italia aveva fuso così l'elemento rock, quindi le chitarre elettriche, con una serie di suoni e colori legati alla tradizione folkloristica italiana come il marranzano, le nacchere, l'urlo. Questo disco attinge molto all'Italia di quelle colonne sonore, in maniera ottimistica. Abbaiamo pensato: prendiamo delle cose belle italiane che sono state fatte in un periodo di tempo ben preciso e cerchiamo di riattualizzarle cambiandole e rinnovandole».
Il disco è veramente ricco e i pezzi sono molto diversi uno dall'altro pur avendo un’omogeneità di fondo.
«È tutto voluto, anche la scaletta. Il pezzo iniziale, L’indaco, è un avvertimento. Ti mette in guardia, ma ti conforta allo stesso tempo. È una canzone difficile che dura ben sei minuti e dove la voce non arriva subito. Non parte con un rullo di batteria o un ritornello facile. È come un'avvertenza: mettetevi l'animo in pace, questo è un disco da ascoltare con attenzione».
Una scelta coraggiosa.
«I Baustelle hanno senso così, non potremmo fare canzoni di sottofondo. Forse è questa la nostra forza ed è giusto che sviluppiamo questa nostra peculiarità finché il sistema ce lo permette, finché continueranno a pubblicare dei dischi che possono essere considerati degli album. Sfruttiamo il momento finché dura poi ci riorganizzeremo. Ve lo promettiamo: possiamo essere anche ottimi compositori di singoli e di musica da intrattenimento, però ora, finché possiamo, preferiamo divertirci e sperimentare».
Il primo singolo, Gli spietati.
«Nonostante il titolo possa sembrare una citazione dell'omonimo film, parla degli spietati in senso abbastanza letterale. È una piccola canzone d'amore in senso filosofico sul vivere le passioni senza passione. Dice che forse sarebbe bello riuscire a vivere come i sassi e la rugiada, ma è una possibilità irrealizzabile. Se riesci a vivere senza il tormento che deriva dalla ricerca della verità , se riesci a essere apatico ma in una maniera bella e spirituale, magari diventi beato, però è difficile. Io non ci riesco. Quindi la canzone termina con un finale molto urlato che parla della carne che non si spegne mai».
Follonica.
«Per me che ho vissuto a Castiglione della Pescaia, che è la parte un po' più “fighettaâ€, Follonica assomiglia un po’ a Rimini. La spiaggia è un po' più sporca rispetto al resto della costa, ma mi piaceva soprattutto il nome, per ragioni di metrica. Il brano parla di una spiaggia di rifiuti dove il mare porta i detriti della civiltà occidentale. È il simbolo della fine di una storia d'amore. È semplicemente una canzone d'amore».
Questo brano quasi non dà speranza, c’è un forte senso di decadenza dove anche il sesso fa parte dell’infinita vanità del tutto.
«Sì, non condivido molto l’importanza che viene data oggi al sesso. C’è l'idea che possa risolvere tutti i problemi, che questo atto così liberatorio ci faccia stare automaticamente bene. Io la trovo parzialmente una cazzata. Comunque questa la definirei la canzone del depresso».
Anche ne La bambolina, la cui musica è di Rachele, torna il sesso fine a se stesso.
«Questo brano è una specie di A vita bassa parte seconda ma molto più incentrato sul ruolo della figura femminile. È la fotografia di una schiavitù spesso inconsapevole. Il meccanismo culturale e sociale di questo mondo e così diabolico che spesso non ci fa rendere conto di quanto siamo diventati schiavi. Forse per la donna questo succede in misura ancora maggiore, perché siamo nel regime della bellezza. C'è una canzone bellissima dei Divine Comedy che si chiama Beauty Regime e parla di questo. Invece di guardarci allo specchio ci guardiamo in un servizio di Vogue o in un manifesto della pubblicità ».
Le rane è il brano più legato al mondo Baustelle che conosciamo, ricorda i primi album.
«È vero, ma col tempo che è passato. Non ero mai stato così vecchio nel senso di persona adulta che ricorda il passato».
San Francesco cita Una vita violenta di Pasolini.
«Questo testo è abbastanza folle e mi piace che abbia varie interpretazioni possibili. È molto ricca anche dal punto di vista musicale: c’è il trombone, la chitarra acustica, la chitarra elettrica, le tastiere, gli archi».
Avete scelto il produttore Patrick McCarthy, che ha lavorato con R.E.M., U2, Madonna.
«Volevamo un suono un po' più internazionale e meno italiano, ma senza un giudizio di valore. Volevamo semplicemente dare più importanza all'elemento musicale e un po' più di dinamica. Mi è sempre piaciuto il suono dei dischi dei REM e quindi abbiamo pensato a Patrick McCarthy e quando lo abbiamo contattato e gli abbiamo fatto sentire i nostri dischi, gli sono piaciuti e ha accettato».
Avete voluto anche un batterista americano.
«Sì, la batteria su molti pezzi del disco è stata registrata da Tim Boland a Los Angeles. Gli abbiamo mandato un piccolo hard disk e un po’ di giorni dopo ce l’ha rispedito con il suono della batteria. Questo modo di lavorare fa molta impressione. Siamo rimasti molto soddisfatti ma il batterista non l'abbiamo proprio visto».
Anche voi tre lavorate a distanza?
«Sì, la tecnologia ci ha aiutato perché grazie a internet possiamo comporre a distanza. Per i concerti, le interviste e le prove è necessaria la presenza fisica, ma per il resto possiamo stare anche lontani».
Non pensate che i vostri dischi possano essere esportabili? La vostra è una via italiana originale perché siete andati a cercare nelle radici del nostro paese e non venite dall'imitazione di prodotti esteri.
«È una cosa di cui non eravamo consapevoli ma di cui ci siamo accorti col tempo. Anche Patrick McCarthy è rimasto molto affascinato da questa cosa e voleva fare l'adattamento di un pezzo in inglese. Sosteneva che un certo tipo di pubblico americano, probabilmente un po' fighetto, avrebbe apprezzato I Mistici dell'Occidente cantato in inglese. Ma non sono cose così facili da realizzare a livello organizzativo e di distribuzione. Però se mai succedesse, ci piacerebbe fare un pezzo cantato con una pronuncia sbagliatissima, sarebbe cool, vero».