Macheda, «già campione a 11 anni»
Cristiano Ronaldo incorona Federico: «È bravo, mi somiglia e migliorerà ancora»
MILANO — I Macheda sono sempre in anticipo. Pasquale a 20 anni era già diventato due volÂte papà . Suo figlio, Federico, «Mack the knife», come il celeÂbre criminale di Brecht, per la stampa inglese, a 11 era già un campioncino, a 15 oggetto del desiderio dei grandi club e a 17 già capace di mandare in tilt il ceÂrimoniale della Premier: che fare con la bottiglia di champagne che spetta al migliore in campo se il suddetto è un minorenne?
E la storia di Federico, il Red DeÂvil che parla italiano, è legata inÂdissolubilmente a quella del ragazÂzo di Reggio Calabria che, appena maggiorenne, si trasferisce a RoÂma. Tanta buona volontà , ma solo lavori saltuari e due figli, Federico e Simone che crescono e mangiaÂno. Il primogenito, oggi 186 cm, non ama la matematica ma fa i nuÂmeri con un pallone tra i piedi. Prima nell’Atletico Prenestino. Poi nel Savio, storica fucina di taÂlenti, che magari si perdono per strada. E, infine, nel 2002 la Lazio dopo l’incontro con Volfango PaÂtarca, il responsabile della scuola calcio che aveva scoperto Di Canio e Nesta. «Federico l’ho visto a 11 anni: era già fortissimo, oltre che un ragazzo d’oro. L’ho voluto subiÂto ». E subito giura: sarà un camÂpione.
Qualcuno ridacchia e oggi si morde le mani. «Lo portavo in giro per l’Italia — racconta — e da attaccante segnava a tutti. In un torneo a Lecce giocava con D’AlesÂsandro (oggi alla Roma, ha debutÂtato con la Juve, ndr): Macheda reÂalizzò un gol che se lo fa all’OlimÂpico viene giù lo stadio». Inter e Milan scendono a chieÂdere notizie. Bruno Conti sogna di spalancargli le porte di Trigoria. Come farà poi con un altro aquilotÂto di talento, Malomo. E proprio per quest’ultimo che un gruppo di osservatori del Manchester U. si reÂgalano, a Natale, un viaggio a RoÂma. Vengono, vedono e decidono: vogliono Macheda. I diavoli rossi sono una tentaÂzione. Ma gli amici e il quartiere, Ponte di Nona, che è un po’ una grande famiglia, sono un cordone ombelicale duro da recidere. Solo che a Formello bisogna andare cinÂque volte a settimana. Papà PaÂsquale lavora come guardia notÂturna e anche mamma Loredana non ce la fa. Lo United garantisce 80 mila euro per 3 anni e una sisteÂmazione alla famiglia.
Non si può dire no. «Ma il giorno prima — racconta Patarca, che nel frattemÂpo la Lazio aveva messo alla porta — Federico piangeva e il padre anÂcora diceva ‘‘Se mi trovano un laÂvoro, resto’’. Bastava darglielo e non ci sarebbe stato il problema del contratto. Ma Lotito niente». L’unica voce che Macheda senÂte è quella di Ryan Giggs, in misÂsione per conto di Alex FerguÂson, che lo chiama appena sceso dall’aereo. Roba da Scherzi a parÂte. Cristiano Ronaldo lo prende in simpatia, gli chiede la sua stoÂria e lo incoraggia. «Alla Lazio— svelerà Macheda — c’era tutta un’altra atmosfera: i giocatori delÂla prima squadra ci ignoravano e Delio Rossi non s’è mai visto alle nostre partite».
A Manchester l’«Academy» non si chiama così per caso: sveÂglia alle 7.30 e scuola tre volte a settimana. Appena può Macheda torna a Roma. Magari quando PiÂscedda lo convoca nell’under 19. Anche se il salto di categoria verso l’under 21 di Casiraghi, l’ennesiÂmo di una carriera di tappe bruciaÂte, sembra dietro l’angolo. In speÂcial modo dopo il gol dell’altro ieri e le parole di Cristiano Ronaldo: «Kiko (il soprannome che gli ha dato, ndr) è giovane e bravo. Mi somiglia e migliorerà ancora». Ferguson, che non ha avuto dubbi nel promuoverlo in prima squadra, accompagna i compliÂmenti con i «rimani con i piedi per terra» di prammatica. SopratÂtutto ora che a casa Macheda papà Pasquale non fa che rispondere alÂle richieste di tv e radio. «Federico — ha detto e ripetuto — è un raÂgazzo serio con la testa sulle spalÂle, ci godiamo questo momento. Alla Lazio ha imparato molto». Per questo ha preso il telefono e ha fatto una chiamata. Dall’altra parte della cornetta l’allegro vociaÂre di una scuola calcio. «Mister PaÂtarca, grazie di tutto. È merito suo. Federico la chiamerà presto». I Macheda corrono veloci. Ma non dimenticano.