da PaulGallagher il ven apr 10, 2009 7:28 am
Adriano: «Non torno più.
Ho perso la gioia di giocare»
L'attaccante dell'Inter ha deciso. «Moratti un padre, ma non ce la faccio più»
Adriano (Afp)
Adriano (Afp)
RIO DE JANEIRO — Esiste una sola città al mondo dove nelÂl’arco di una giornata si può spenÂdere una fortuna in un ristoranÂte, sfasciare un’auto a 120 all’ora sul lungomare, andare a trovare una vecchia zia che vive in un tuÂgurio, bere due casse di birra con gli amici narcotrafficanti lì a fianÂco, e in nottata organizzare un’orÂgia con otto ragazze e un trans che di solito sfila sulle passerelle d’alta moda: tutti allegramente sorvegliati da gorilla per tener lontani i curiosi. Luoghi comuni terribili circondano Rio de JaneiÂro. Luogo metafora doÂve tutto è possibile, torÂtuosa come gli enigmi nella testa di Adriano, che qui è rifugiato da orÂmai tre settimane. E doÂve potrebbe restare anÂcora a lungo: ieri pomeÂriggio in una conferenÂza stampa all’hotel Windsor nel quartiere Barra da Tijuca, dove abita, ha annunciato che smetteÂrà di giocare a calcio: «Mi prendo una pausa perché giocare a calcio non mi dà più allegria».
Quanto lunga, la pausa? «Può essere uno, due , tre mesi», ma anche di più. In ogni caso niente cliniche: «La mia clinica sono la mia famiglia e il mio Paese. Rinuncio anche ai soldi». Adriano ha detto di non avere problemi con l’alcol, di non essere malato né depresso. Infine un pensiero per Massimo Moratti: è come un padre, ma il legame non è abbastanza forte da spingerlo a lasciare il Brasile. «È a casa da solo, nella villona di Barra», «No, è con gli amici di infanzia a Vila Cruzeiro, a far balÂdoria ». Cambia poco, se l’ascenÂsione al cielo ha fatto di te un GarÂrincha e non un Pelé, un EdmunÂdo invece che un Falcão. Un pieÂde ce l’hai sempre dove sei nato, e non solo per distribuire caraÂmelle ai bambini davanti alle teleÂcamere, con lo sponsor buonista. Grappoli di ex «fidanzate» che diÂcono di sapere tutto, per guadaÂgnare un titolo, e soprattutto una fotografia a corredo. Fa parte del gioco: se sei un calciatore famoÂso, ti piacciono le donne che giraÂno attorno ai calciatori famosi. Quelle che tentano di fregarti nel motel, facendo evaporare i preÂservativi all’ora x: non si sa mai che spunti una sorpresa in grado di sistemarti per la vita. Negli anÂni d’oro di un altro centravanti nerazzurro di talento, a Rio si diÂceva che «Ronaldinha» era una professione, non un nome. ScherÂzando, ma nemmeno troppo.
Adriano non è riuscito a evitaÂre nulla del «purgatorio do caÂos », dolori intensi e piaceri estreÂmi, voglia di vincere e poi di diÂstruggere tutto. A partire dall’inÂcubo di se stesso bambino, dispeÂrato alla vista del padre colpito da una pallottola nella favela duÂrante una sparatoria. Almir era un omone forte, come il figlio, e sopravvisse per anni con il proietÂtile conficcato nel cranio. Alla sua morte, avvenuta infine cinÂque anni fa, si fa risalire l’inizio di tutti i problemi di Adriano, le lunÂghe depressioni, affogate nella birra, nella nottate in discoteca a Milano (che a Rio poi definisce mortalmente noiose), la voglia di tornare in favela a scherzare con gli amici. Dove lo aspettano sempre Jadir, il gestore del chiosco a lato del campetto in polvere di Vila CruzeiÂro, oppure Mauricio detÂto l’archivista, perché conserva tutti i ritaÂgli dell’idolo, fino ad altri coetanei che nel frattempo hanno risalito la scala del comando con altri mezzi che non fossero i piedi. Non tutti: solo quelli sopravvissuti alla morÂte o alla galera. Luogo di violenÂza inaudita, la favela, ma comunità forte e perÂsino felice. Lecito e giusto andarsene a vivere meglio, lunÂgo l’oceano, imperÂdonabile è non tornaÂre mai. «Ragazzi, è arriÂvato Pipoca!». Significa popcorn, in portoghese, Adriano ne mangiava coÂsì tanto da bambino — lo vendeva una zia con il carretÂto ambulante — che ancora lo chiamano così quando arriva. Poi Adriano è anche il ragazzoÂne in bermuda e ciabatte fotograÂfato ieri mattina sul lungomare mentre comprava i giornali, forÂse per saperne di più sul suo suiÂcidio professionale. E quello che paga per tutti al ristorante FratelÂli, il suo preferito vicino casa. TorÂtelli con ripieno di pollo e noci in salsa rosa, sempre lo stesso piatÂto, e mai più di un bicchiere di viÂno, assicura lo chef italiano MasÂsimo Torresan. «Timido e gentiÂlissimo », racconta. Questo è l’Adriano familiare, con la mamÂma, fratelli e cugini, mai una paÂrola o un gesto fuori posto. TavoÂlata di neri e mulatti, in un saloÂne dove dominano i colori chiari della classe agiata del quartiere di Barra da Tijuca.
Gli «emergenÂti », li chiamano a Rio: sognano la villa o il condominio esclusivo, in un angolo della metropoli che sembra Miami e non ci sono mendicanti perché nessuno gira a piedi. Nessun calciatore si sognerebÂbe mai di vivere in un altro posto che non sia Barra. Eppure è proÂprio qui dove più è difficile capiÂre Adriano, peccatore della reliÂgione del successo e dissipatore della sorte. «Va aiutato», dice il coro che arriva dall’Italia, calciatoÂri, allenatori, psicologi assortiti. «Faccia un po’ quello che gli paÂre », si risponde dal Brasile pagaÂno, dove lo scandalo ha un’altra accezione. La «festinha» allegra ha indignato per un solo motivo: era alla vigilia del raduno della SeÂleção, e poi si è pareggiato con l’Ecuador. Vergogna!
GODO
I'm the eggman
(who are you?)
we are the eggmen
(who are you?)
I'M THE WALRUS
desiderio81 ha scritto:
<<Il momento più bello della giornata è quando...arrivata la mezzanotte...dopo la bellezza di 16 ore fuori casa...mi spoglio, mi infilo nel letto e recito la mia preghiera:
"Andate tutti a fare in culo"
e m'addormento!>>